Caro papà...
- Gian Franco Pordenone
- 18 apr
- Tempo di lettura: 3 min

«Caro papà…» afferma Paolo, pronto, come sempre, a lanciare uno scambio di pensieri tra compagni. Di solito lo fa in classe, questa volta, invece, durante la pausa, seduto in cerchio con i suoi compagni nell’atrio della scuola; bloccati tra le mura dell’istituto da una fitta pioggia, che non dà scampo, che non permette di uscire, di giocare nel piazzale, di correre e sfogarsi tra gli sforzi mattutini.
«Caro papà… ti voglio un sacco di bene» dichiara il ragazzo il giorno della festa dedicata proprio ai padri. «Quando posso passare del tempo con te, sono sempre contento», aggiunge convinto, «in particolare le volte in cui mi chiedi di aiutarti a tagliare l’erba del giardino, mostrandomi pazientemente che è meglio farlo quando il tempo è asciutto, senza tagliarla troppo, per permetterle una ricrescita migliore».
«È vero», aggiunge Stefano, felice di aver ereditato la passione paterna per il tennis, ammettendo, ma a denti stretti, «la pertinenza dei tuoi consigli, sia quando giochiamo assieme, sia quando andiamo a vedere una partita». Ricordando, inoltre, l’impressionante «capacità nel tirarmi sempre su di morale, quando perdo una gara, o semplicemente quando non sono particolarmente soddisfatto dei miei colpi. E succede spesso, lo posso assicurare».
«Sì, sì…» interviene di getto Federica, come i suoi compagni da poco in prima media, confrontata come tante volte nella vita nel fare un salto di qualità, «anche a me vengono in mente tutte le belle cose che abbiamo fatto insieme; come quelle più noiose… riordinare la mia stanza, fare i compiti… che ogni tanto mi fanno arrabbiare, pur sapendo che le richiami per il mio bene. In questo giorno speciale, vorrei, a questo proposito, chiederti semplicemente scusa.»
Irrompe Marianne, visibilmente fiera di avere un «papà meraviglioso», da sempre pronto ad ascoltarla, anche quando «ero triste e piangevo, magari solo perché volevo un nuovo peluche, un po’ per capriccio, lo ammetto». E allora, in questo giorno speciale, «vorrei ringraziarti veramente tanto per essere sempre al mio fianco», nonostante tutto.
Prende la parola Michelle, con voce lieve, spiegando al gruppo presente, seduto ordinatamente, che «non ho proprio voglia di dirti qualcosa, papà, non sei tu a meritare dei ringraziamenti, bensì mia mamma; lei sì, si mostra sempre disponibile ad ascoltarmi, ad aiutarmi, anche nei momenti difficili.» Allorché, riprende con voce a questo punto ferma, «tu non mi hai mai fatto del bene».
Dopo un momento di imbarazzato silenzio, in un’atmosfera improvvisamente più cupa, interviene Arianne, sottolineando che «anche i miei giorni con te erano brutti, ma dovevo sopportarli, essendo in qualche modo costretta a stare con te». Poi, finalmente, aggiunge la ragazza fiera delle sue lunghe trecce castane, «hai cominciato a capirmi», ascoltando, discutendo, proponendo… un giorno di «nuotare in piscina», un altro di «mangiare un gelato», un altro ancora di «fare un giro nei negozi del centro commerciale». Così, conclude, «ho iniziato a vederti diversamente, ad apprezzarti, ad avere sempre più voglia di stare con te», rendendosi finalmente conto «di quanto ho bisogno di te».
Al termine di queste parole, intense, prende la parola anche Emma, raccontando ai compagni il sogno dell’altra notte, durante il quale «mi trovavo, non so perché, da sola in un bosco, non so se persa tra i fitti alberi». Ad un certo punto «ho iniziato a sentire qualcuno chiamarmi, sembrava una voce familiare, che mi ha incoraggiato a proseguire, fino ad arrivare davanti a una casetta illuminata, nascosta tra gli alberi». Allora «sono entrata e ho trovato mio papà, seduto su una poltrona davanti a un camino ardente. Si è girato verso di me e mi ha detto, con un tono allo stesso tempo fermo e dolce: “Eccoti finalmente, ti aspettavo.”» Su queste parole, il sogno, d’incanto, è svanito.
«Anch’io ho una storia da raccontarvi», afferma sulla sua scia Marta, «l’ho immaginata l’altro giorno, durante un momento particolarmente noioso: volete saperla?». Tutti, in coro, la invitano a proseguire. «Sapete», dice guardando negli occhi i suoi amici, «una bambina di nome Chiara, ogni anno, quando si avvicina la festa dei papà, prepara un regalo da donargli. Questa volta ha realizzato un portachiavi di stoffa, accompagnato da una lunga lettera scritta a mano, che ha spedito ad un indirizzo un po’ strano, confidatogli dalla mamma. Qualche giorno dopo, proprio con la mamma, Chiara esce a fare una passeggiata serale sotto le stelle luccicanti di un cielo improvvisamente limpido. Ad un certo punto, le due si fermano su una panchina ad ammirarle, quando tra l’una e l’altra intravvedono le sagome di un signore, sembra papà, che le saluta con il regalo tra le mani. E sono felicissime.»
«Ecco, non dimentichiamocelo», interviene il maestro, apparso all’improvviso per richiamare gli allievi in classe al termine della pausa, «nonostante i suoi limiti, i suoi difetti, le sue debolezze, il papà è sempre il nostro papà.»
Scritto per la festa del papà del 19 marzo 2025
a partire dagli spunti degli allievi della classe 1E
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